giovedì 26 aprile 2007

Una lepre

Ieri ho visto una lepre. Ero a passeggio con il mio cane, in collina. L’occhio mi cade sulla base di un albero, dove il robusto tronco si incontra con la terra arida e donatrice di vita. Era giù nella scarpata. Ai piedi dell’albero stava un pezzo di legno. Era di colore bruno chiaro. Sembrava rettangolare, aveva le striature più scure, alcune erano nere. Ma aveva una forma strana. Era troppo regolare. E poi che ci fa un pezzo di legno proprio lì? Bhò. Vabbè, vado avanti. Poi mi fermo. Mi dico no, non può essere un tronco. Torno indietro. Mi pare ora di scorgere una specie di orecchio lungo, ma aderente al corpo di legno. E poi una specie di roba rotonda nera, che con un po’ di immaginazione poteva essere un occhio. Immobile. Era assolutamente immobile. Ho provato a cogliere un movimento, il battito del cuore, un respiro. Niente. Il mio cane nel frattempo torna indietro e mi si avvicina scodinzolando come per dire dai andiamo, portami ancora un po’ più a monte. Il mio cane si ferma. Il mio cane capisce. Il mio cane punta gli occhi dove li stavo puntando io. Pam. In meno di un secondo la lepre fa uno scatto parte a razzo si allontana a scheggia e si dirige verso il bosco il mio cane parte anche lui come un centometrista al suo inseguimento vedo i due corpi che si allontanano da me mi rimangono impresse le zampe posteriori della lepre e le zampe posteriori del mio cane entrano nel bosco ora non si vede più né lepre né cane ma si sente il rumore di bosco rumore che capisci che sta succedendo qualcosa rumore di foglie è come poter seguire la scena capisci esattamente dove sono quei due anche se non li vedi.Dopo un po’ il rumore torna indietro ed esce dal bosco. É il mio cane che torna con la lingua a penzoloni e con la lepre negli occhi e nella mente, chissà come se la stava immaginando, magari grondante di sangue tra i suoi denti. Mi abbasso per accogliere il mio cane. Sorrido. Gli dò una carezza sul muso. «Testina di vitello», gli dico. E sorride anche lui.

giovedì 19 aprile 2007

Scena del delitto

«No davvero, non so come sia potuto succedere, mi dispiace, è avvenuto tutto così in fretta non ce ne siamo neanche accorti eravamo lì che ci divertivamo e alla fine…. ma giuro che non l’ho fatto apposta, è successo così, senza un motivo preciso, senza una ragione spiegabile, mi dispiace, davvero mi dispiace…»
É successo venerdì sera. Dopo tanto tempo finalmente mi incontro con il mio amico che non vedevo da tanto tempo. Lo raggiungo al bar, dove ha avuto il tempo di bere qualcosa nell’attesa che io mi presentassi. Mi sono presentato. Abbiamo fatto due chiacchiere, ordinato due negroni, bevuto i negroni, appoggiato i bicchieri che contenevano i negroni al banco. Eravamo entrambi raggianti, lui che mi raccontava della sua tipa nuova e io che narravo le imprese della mia auto nuova fiammante. Bella storia, ci pigliava davvero bene. Poi due vecchi amici che ne hanno passate tante insieme e che poi si ritrovano dopo mesi e mesi… ogni volta è una festa.
Chessifà, si va all’osteria? Si va all’osteria. Parole a fiumi, congiunzioni a non finire, mani che gesticolano, mani che afferrano il bicchiere e mani che afferrano bottiglie e baci dati al bordo del bicchiere come alle labbra di una donna. Insomma la serata scorre come il nostro sangue nelle vene. Sostituiamo il vuoto con il pieno, ma restiamo sul rosso.
In un istante i suoi occhi si spengono e contemporaneamente le mie pupille si dilatano. Oh-oh. Ora come lo porto a casa? 110 chili di alcool da indirizzare verso la strada giusta. Vabbè proviamoci. Infilo la mia spalla sotto la sua ascella. Usciamo dall’osteria giriamo a destra anche se quello che rimane del suo cervello spinge per andare a sinistra. Arriviamo a tentoni all’auto, lo caccio dentro e parto. Ci fermiamo davanti a casa sua lo estraggo di peso dal sedile. Questo è quello che ho cercato di fare, ma invano, dato che ormai si trattava di un cadavere senza iniziativa (come tutti i cadaveri, d’altronde). Ma il cadavere si sveglia si alza e si appoggia all’auto. Fa un passo verso il cancello ma non ce la fa cade per terra e mi tira giù con lui. Lo rialzo di peso – non credevo di riuscirci… Dove sono le chiavi? Eh? Dai, dimmelo, dove sono le chiavi? So che di solito le tenete nel giardino dimmi dove sono. I suoi occhi sono puntati verso l’Alaska, però riesce a farfugliare qualcosa come “MGNA...FAN…GULO”. Ok, capito, me le devo cercare da solo. Infilo la mano in tutti i vasi del giardino ma non trovo nulla. Torno da lui e ripeto dai dove sono le chiavi dobbiamo andare a fare la nanna non vuoi fare la nanna? In un’ottica di risparmio delle risorse, stavolta più semplicemente alza il dito medio e me lo indirizza con un sorriso storto. Occhei allora decido di portarmelo a casa mia. Santamadosca. Porcadiquellapuzzola. Scenetta come da copione: lo spingo in auto arriviamo da me, lo convinco a rialzarsi, si appoggia all’auto poi fa un passo e vrom di nuovo tutteddue per terra santamadosca. Lo trascino in casa e lo butto sul mio lettone. Gli sfilo i pantaloni e lo abbandono nella stanza. Manco per idea. Si alza, sbatte di qua e di là e mi costringe a rientrare. Ora ha le mutande infilate nel collo. Lo ributto sul letto, gli intimo di dormire e chiudo la porta. See magari. Di nuovo si rialza. E allora ok, lo porto in sala e lo butto nel divano letto. Dato che proprio ci tieni ora dormi di qua. Miracolo. silenzio. Allora mi infilo io nel mio lettone. Dopo 30 minuti un suono acquoso mi fa venire un orribile presentimento. Mi alzo, vado di la e mi si presenta la scena che vedete nella foto e il rosso NON è sangue. L’unica cosa positiva è che almeno sta dormendo. Vomita dormendo. Fantastico. Vorrei poterlo fare anche io. Così almeno mi evito il disgusto. Torno a letto e cerco di dormire. Sono le 3.45. Dato che però la notte è ancora giovane, tante cose possono accadere. E infatti dopo 15 minuti la porta della mia stanza si apre, e vedo la sua sagoma in maniera molto distinta: è completamente nudo (ha solo i calzini) mi sorride e ha intenzione di infilarsi nel mio letto, probabilmente urtato dal fatto che qualcuno gli abbia imbrattato in quel modo così maleducato il letto che gli era stato assegnato. Puzza talmente che la puzza si rifiuta di seguirlo, e infatti lo precede. Gira attorno al letto e si infila sotto le coperte senza proferire parola. Ora, dovendo io scegliere tra alzarmi dal mio letto e andare a dormire in un materasso zuppo di bile e invece restare nel mio letto…. bhè, la scelta è praticamente obbligata. Sul bordo del letto, come Eta Beta sul pomello, mi addormento…
Ovviamente il materasso è finito nel cassonetto la mattina successiva.

martedì 10 aprile 2007

Primavera

Tepore.
Luce.
Sole aria. Cinguettio degli uccelli alberi che sussurrano segreti al vento gatto che si rotola al sole cane che scodinzola profumo di bucato al vento foglie colte da fremiti ombra sull’erba luce sull’erba api che si imbrattano dei semi di un pistillo legno che scricchiola topolino che si desta futuri fiori fluttuano pupilla che si contrae nuvola in navigazione verso nord argilla si scalda insetti che copulano alito di mammifero maternità di giovane gatta uno stelo si piega aria da sud cibo in arrivo acqua sgorga da antica fonte finestra si apre fuoco discreto uomo che cammina uomo che non cammina rododendro che si schiude gladioli in fila rosa che ancora non ne vuole sapere perché fa ancora troppo freddo e io il mio dovere l’ho già fatto un mese fa tulipano che invece soffre di eiaculazione precoce e ha già fatto tutto quello che doveva fare e ora se ne torna nel suo bulbo fino a nuovo anno nuovi rami che si protendono al cielo su albero ormai stanco tortora deterge penne che abbelliscono ali che accarezzano vento che ringrazia e continua nella sua danza che

domenica 1 aprile 2007

British Beagle

Metti che una mattina ti svegli. Ti fa male la schiena e sei stanco: hai dormito per 30 minuti, per di più steso su un pezzo di legno. É freddo, e molto umido. La testa ti gira. Poi ti accorgi che in realtà non è la testa a girarti, ma tutto ciò che c’è intorno. É buio pesto. Sono le 3.00 del mattino. Maccheccavolo, ma non me ne potevo restare tranquillo? Ti accorgi di non avere il pigiama, eppur sei vestito pesantemente. Cerchi di alzarti, perdi l’equilibrio, ricadi sulla tavola, ti rialzi e fai presa con la mano ad una maniglia. Prendi la caffettiera, la apri, la riempi di acqua e di caffé. La piazzi sul fornelletto, la blocchi e accendi il fuoco. Ti strofini le mani e aspetti. Guardi fuori. E lo vedi. E lui è lì che ti guarda. C’è sempre stato. Ti giri verso poppa, guardi fuori e vedi il tuo amico seduto che guarda avanti. É rannicchiato. Deve avere un gran freddo. Le spalle ricurve, le gambe serrate, il collo praticamente inesistente. Coperto quasi da non riconoscerlo. Ma tu sai che lui ti ha condotto fin qua. É ora di dargli il cambio. Lo scoglio è ancora a 200 miglia. Tra un paio d’ore dovrebbe iniziare ad albeggiare. Un buon caffé caldo. É quello che ci vuole. Fa freddo. Dentro e fuori. Passerà ancora molta acqua sotto questa prua. Il vento è stabile. Filiamo a 5 nodi. Aspettaci, scoglio. Stiamo arrivando. Aspettaci, vita.