giovedì 28 giugno 2007

Capitan Bianchetti

C’era un tempo in cui potevi vedere una piccola barca a vela, di nome Penelope, veleggiare placidamente al largo della costa romagnola, più precisamente tra Cervia e Cesenatico, alla mattina, molto presto. Diciamo circa 25 anni fa. Su quella barca stava un ragazzo, anzi un ragazzino, che andava a scuola. La mattina presto. Da solo. Da Cervia a Cesenatico. Lo stesso ragazzino, oramai in età da militare, si sparava, tutti i giorni, da Porto Garibaldi a Cervia, casa sua, sempre in barca. Diciamo sui 20 anni fa. Finito il suo turno, invece di prendere l’auto come tutti gli altri marinai di leva, e correre a casa, lui metteva piede sulla sua barchetta a vela, ormeggiata in banchina. Ed era già a casa. Poi, arrivare a Cervia in realtà era un pura formalità. Qualche anno più tardi, potevi vederlo, sempre lui, magari fermo in porto – ma sempre con i piedi su un puledro del mare -Qqq intento a fare qualcosa, e con la testa sempre altrove, su altre acque, pianificando regate oppure organizzando incontri con possibili sponsor, o ancora racimolando equipaggi improvvisati per prendere parte a qualche regatina in Adriatico.
Ricordo come se fosse ieri, la volta che lo conobbi, a bordo del suo Condor dal nome “Nonsisamai”, mentre si usciva dalle dighe di Marina di Ravenna. Diciamo 18 anni fa. Io – che ancora veleggiavo sugli Optimist – ero rimasto incuriosito dalle vele in kevlar che facevano quello strano rumore di roba solida, e tutto potevo pensare tranne che quella cosa così dura potesse essere una randa. Lui aveva 8 anni in più di me, ma aveva già accumulato miglia e miglia di mare sotto gli occhi e tra i calli delle dita. Taciturno, sembrava un animale in gabbia, tanta rabbia da scaricare, ma lucido quanto basta per sapere con determinazione il destino da assegnare alla sua vita.
Poi lo rividi un po’ di tempo dopo. Diciamo 10 anni fa. Facevo parte di uno di quegli equipaggi improvvisati. Si partecipava ad una regata transadriatica. Capitan Bianchetti portava il Vitesse, vecchia di 10 anni, come un siluro e all’alba del giorno successivo la partenza della regata, tagliammo il traguardo abbondantemente primi. Trafficava spesso con barche vecchie, prese in prestito da amici, o – nella maggior parte dei casi – prese da amici di amici di amici, che – loro malgrado – dovevano garantire per lui. Avere una barca nuova? Manco per sogno – dove li trovo i soldi?! Gli sponsor sono duri da trovare, poi devi avere agganci sicuri, e soprattutto te li devi giocare bene. Ma Simone non scendeva a compromessi. Mai. O si fa così come dico io, altrimenti vaffanculo. Certo molti ce lo avevano mandato lui, a quel paese. Eccome. D’altro canto uno stinco di santo proprio non era. Risse nei bar, debiti insoluti…Ma un cuore grande come il Mare…e negli occhi - profondi, grandi - una determinazione mai vista in nessun altro sguardo.
Aveva un grande sogno, Simone. Lui voleva l’Oceano. Voleva navigare, voleva perdersi tra le onde del Mare. Cercava qualcosa, qualcosa che desse un senso alla sua vita. Nel Mare, Simone cercava se stesso.

É stato il primo marinaio italiano a partecipare e a portare a termine il Vendeè Globe, la Madre di tutte le regate. Parti da Les Sable D’Olonne – in Francia -
scendi verso l’Antartico. Ci giri attorno. E torni a Les Sable D’Olonne. Il giro del mondo. In barca a vela. Senza scalo. Tutto d’un fiato. Senza assistenza. Da solo. Diciamo in 4 mesi circa. Roba da malati di mente. Roba da malati di Mare. Roba da gente che si sente più a proprio agio in Mare che a terra. E lui si sentiva di gran lunga molto meglio in Mare che a terra…questo è fuori di discussione.
Poi ha concluso al terzo posto l’ Around Alone (cui aveva già preso parte anni prima, essendo, a 25 anni, il più giovane skipper mai iscritto a quella regata), sempre un giro del mondo in solitario, ma stavolta a tappe. Peanuts, in confronto al Vendeè. In effetti lui, con la testa, era già alla prossima edizione del Vendeè. Sembrava che la storia stesse girando al meglio. Finalmente uno sponsor serio, finalmente una barca competitiva…
Nel frattempo ovviamente numerose altre esperienze – la regata con i carretti a vela nel deserto della Mauritania, le mini Transat, le Rimini-Corfù-Rimini, la Route du Ruhm, la Solitaire du Figarò, regate vere se capisci cosa voglio dire… tutte rigosamente seguite su internet oppure sulla Gazzetta dello Sport, aprendo sempre il giornale a ritroso dall’ultima pagina, perché le notizie più belle sono quelle che scopri in fondo, tra le previsioni del tempo.
Il destino – o chi per lui – non gli ha nemmeno concesso l’onore delle armi - disperso tra i flutti - riservato a gente del calibro di Joshua Slocum o –più recentemente – Eric Tabarly.

Simone se n’è
andato, a 35 anni, mentre era in una barca di amici - non la sua, Tiscali - nel porto di Savona. Oggi sono 4 anni dalla sua scomparsa.
Con lui se n’è andata un po’ quella poesia e un po’ di quella speranza che ognuno di noi ha e che ognuno di noi nutre, che a volte i sogni possono davvero diventare realtà. Che un ragazzino malato di Mare può davvero, forse, farcela e arrivare a parlare a tu per tu con l’Oceano, a Lui confidando desideri, sussurrando segreti, dedicando poesie…

Adieu Capitan Bianchetti. Forse non lo sai. Ma a qualcuno di noi manchi ancora molto.

venerdì 22 giugno 2007

The chemical beat

Il chemical beat è quello che senti dentro, all’altezza del petto, quando hai davanti due torri di altoparlanti che ti sparano dei bassi così profondi che ti tremano i peli della braccia. A differenza del precedente concerto nel capoluogo lombardo, questa esibizione dei Chemical Brothers – 15 giugno 2007 - è stato davvero uno spettacolo. Mi ero spesso chiesto che spettacolo potesse mai essere vedere due ragazzi che su un palco enorme pigiano tasti qua e là, dietro ad una consolle e davanti ad un armadio pieno di spie luccicanti di cui non disponeva neanche il Comandante Spock in Star Trek. Ebbene ora posso dire che i principali motivi sono: 1) un posto dove fanno 2 ore e mezza di chemical muzik non lo trovi con facilità 2) un posto dove ci sono 5000 persone che ballano tutte quante come in una colossale discoteca all’aperto è per me una novità 3) i pirotecnici e folkloristici movies che scorrevano sullo schermo gigante alle spalle del brit-duo avevano un effetto ipnotico che non ho avuto bisogno di altro per stordirmi… 4) non so cosa scrivere al punto 4.
E poco importa se durante la giornata un temporale aveva fatto sì che il prato dell’ Idroscalo fosse quasi un pantano, tanto che dopo 10 minuti di salti smodati, sulle scarpe si fosse incollato tanto fango che i piedi mi pesavano 5 chili più del normale…. a me bastava guardare quei due sul palco – che per me erano Alex e Franz d’oltre manica…davvero sembravano loro! – per sorridere e ricominciare a muovere l’anca e tutto quello che c’è attaccato. A tratti facevo fatica a vederli, a dire il vero… le basse frequenze mi entravano dentro e facevano andare in risonanza le mie retine, per cui vedevo tutto come se fossi stato preso da un delirium tremens… altro che storie, la nuova droga si chiama subwoofer.
Comunque. La cosa che mi colpito più di tutte è stata di sicuro questa: alla fine del concerto sul maxi schermo appare una scritta che dice LOVE IS ALL.
Ora.
In condizioni normali avrei pensato, oh che carini, l’amore è tutto, sissì, è vero, chebbello, bravi bravi bravi.
Ma.
Io non sono in condizioni normali. Ora. Per cui quella frase l’ho metabolizzata. La parola amore è sul maxischermo. L’amore è sul palco. L’amore è in quelle scarpe appesantite dal fango l’amore è la musica elettronica l’amore è il cielo stellato di quella e di una qualsiasi altra serata. L’amore è tutto. Ed è dappertutto. Solo che a volte non si vede, si traveste, si camuffa, si prende gioco di noi. In realtà c’è, è lì che ci guarda, ci osserva. Poi a volte si fa avanti, a volte no, certe volte a te sembra un’ altra cosa, ma in realtà è lui. Sembra che non lo vogliamo, ma ne abbiamo bisogno, lo evitiamo, spesso, ma ne siamo dipendenti. Serve, funziona, si sta meglio, anche se a volte sembra che faccia male.
Ma.
C’è qualcuno che sa dirmi cos’è? Non chiedo tanto... solo che qualcuno mi si avvicini e me lo spieghi...che mi faccia degli esempi... che mi faccia capire l’effetto che ha, anche se so già che è impossibile. Eppure basterebbe così poco…. basterebbe lasciarsi prendere. Ma questa è un’altra storia.

venerdì 1 giugno 2007

VLC

Dicono che maggio sia il mese migliore per viaggiare, ma la verità è che ogni luogo che visiti per la prima volta ha il suo bel fascino. La città spagnola per esempio mi avrebbe fatto impazzire anche ad novembre, quando verso le 18.00 i mercanti di porcellane di Plaza de la Reina iniziano a sparecchiare i loro banchetti fatti di piatti e vassoi e oliere e mestoli e bicchieri per tornare a spingere il carretto. E che dire invece di agosto, quando gli studenti si radunano sotto le ampie volte bianche e fresche della Ciudad de las Artes y las Ciencas, magari con i piedi ammollo nelle basse piscine, il tutto frutto dell’estro della matita di un Calatrava, nome che si addice forse più ad un ingegnere che ad un artista. E invece Valencia mi ha fatto impazzire a maggio, quando le strade del centro si colorano di verde e di arancio a causa degli alberi e dei loro frutti, che magicamente riescono a brillare in un ambiente così innaturalmente antropizzato. Quando , arrivato alla fine della Avenida del Puerto ad una certa ora ti volti e vedi il sole che una precisione giapponese si va a infilare tra le due sponde del viale creando un gioco di luci e ombre e volumi degno di un Caravaggio. Quando gli equipaggi delle quattro barche sfidanti rimaste della Luis Vuitton Cup (lasciapassare per sfidare Alinghi nella Coppa America) rientrano alle loro basi con il sale sulle labbra pensando che il mare qui è salato ma che tuttavia la vita senza sale non è la stessa cosa. Quando la sera ha il profumo d’estate e la mattina profuma di sole già alto e ti svegli senza dover necessariamente pensare a qualcosa. Quando in metropolitana vedi i giovani che vanno verso il mare con i loro zaini, e scorgi un ragazzo che bacia le labbra di una ragazza nell’ultima fila e vedi lei che subito abbassa lo sguardo con imbarazzo e desiderio, lo capisci dai suoi occhi. Quando prendi una bici e percorri tutto il parco ricavato dall’alveo del fiume che passava per la città. Inoltre mi ha fatto impazzire a maggio, quando avrei dovuto assaggiare la paella valenciana e invece me ne sono dimenticato, quando avrei dovuto vedere almeno la bacheca dove viene custodita la Coppa America e invece me ne sono scordato (tra l’altro passandoci di fianco più volte al giorno, mentre deambulavo nel porto)… Foto.