lunedì 31 dicembre 2007

The National

Arrivati a questo punto dell’anno pare che sia d’obbligo tirare le somme e stilare la classifica degli album più ascoltati dell’anno. Questo almeno sembra essere la tendenza tra i blogger che ne sanno a pacchi di musica. Lungi dal volermi unire al coro e stilare anche io la mia bella graduatoria dei cd più masticati – se non altro per la mediocre cultura in questo campo che dimostro – mi limito a ricordare tra queste righe un album che più di tutti mi è ronzato nelle orecchie negli ultimi mesi.
Erano i primissimi giorni di ottobre quando presi la decisione di portarmi l’i-pod in viaggio in Indocina. Ci pensai a lungo se portare il riproduttore di suoni o no, dal momento che abitualmente amo assaporare anche con le recchie i rumori dei luoghi che visito per la prima volta, evitando quindi di isolarmi.
Però c’erano quelle 12 ore di volo fino a Singapore e forse ci sarebbero stati anche noiosi – in realtà in quel viaggio non vi fu nulla da potersi definire noioso – trasferimenti in autobus, durante i quali magari avrei potuto lasciare scorrere le immagini del paesaggio nei miei occhi, accompagnate da una dolce colonna sonora.
Cercavo materiale con il quale riempire i 2GB della memoria, e a dire il vero cercavo qualcosa di nuovo, qualcosa di adatto per l’occasione, che fosse concepito proprio per quel mio viaggio. Mi rivolsi ad un caro amico, uno di quelli che di musica ne sanno a pacchi, che accolse volentieri la richiesta di trovare qualcosa di adatto a me e alla situazione.
Fu così che durante il tragitto per andare pranzo in un luogo particolare per una occasione particolare, mi fece sentire la traccia Fake Empire dei The National dal freschissimo album Boxer. La voce di Matt Berninger mi ricordava quella di Nick Cave che con i Bad Seeds cantava Where The Wild Roses Grow, anche se per fortuna il testo non è altrettanto drammatico (se non sbaglio apparteneva in effetti all’ album intitolato Murder Ballads).
Fake Empire
è associata alla primissima parte di viaggio, quando durante il trasferimento in treno da Stansted a Liverpool Street guardavo dal finestrino la campagna britannica con le cuffie nelle recie.
La dolcissima Green Gloves è per me la colonna sonora del viaggio col pulmino anni 50 tra le verdissime colline del Laos, tra Vang Vieng e Luang Prabang.
La dinamica Slow Show rappresenta nel mio immaginario un treno che al ritmo della pennata della chitarra macina miglia e miglia in polverose strade in un viaggio senza fine.

Nelle 4 settimane di viaggio e nelle successive l’album Boxer è stato mandato in loop decine di volte, e ogni volta le emozioni si rinnovavano.
Danke, Diego.



giovedì 27 dicembre 2007

Tradimenti necessari

L’ho detto e ora lo faccio. Riprendo il titolo e il tema di un post amico che mi è molto piaciuto. I “tradimenti necessari” sono un’ azione di coraggio verso noi stessi. Quando abbandoniamo ciò che ci è noto, ciò che conosciamo, e che magari amiamo e che con ogni probabilità fa parte della nostra quotidianità, compiamo un gesto estremamente coraggioso. La tranquillità delle cose, oltre che essere il titolo di un film di qualche anno fa, è ciò che, in fondo ricerchiamo. Perché, confesso, mi fa piacere essere circondato da cose che mi appartengono, mi mettono – appunto – tranquillità. So di potere contare su di loro, nel momento del bisogno. Per definizione, esse non ci danno niente di nuovo. Ci danno le solite emozioni, belle magari, ma le solite. E se volessimo altro? Dovremmo tradire quelle cose per altre cose (uff, che brutta parola). Eccolo qui il tradimento. Lasciamo il noto per l’ignoto. Giusto o sbagliato che sia, questo ci porta ad un cambiamento nel nostro equilibrio. É vero che “Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi…” come recita Marquez? Forse sì. E allora cambiamo.
Durante il mio viaggio ho abbandonato indumenti, vecchi vestiti ai quali ero affezionato. Erano logori, ma avevo un ricordo associato ad ognuno di loro. Ora che li ho abbandonati è per caso svanito anche il ricordo? No. Però a me piace (anzi, a dire il vero non mi piace più tanto…) associare il ricordo – concetto astratto per sua natura - ad un oggetto – tangibile, concreto per sua natura. Lasciando i vecchi vestiti ne ho presi di nuovi. Altre emozioni, altri ricordi. Ed ecco che, magicamente, la giostra riprende a girare…

sabato 15 dicembre 2007

Il Pianeta solitario

Ho pensato che sarebbe una cosa bella studiare bene le guide prima di partire per un viaggio che ti porterà a visitare luoghi sconosciuti. Non voglio dire di fare quello che la guida dice. Al contrario. sarebbe opportuno NON fare quello che la guida dice e fare quello che la guida NON dice. É stato imbarazzante, per esempio, ritrovarsi ad Hoi An, nel cuore del Vietnam e, con in testa l’itinerario proposto dalla Lonely, incrociare un gruppo di italiani (per fortuna rarissimi in Vietnam) e sentire una voce che diceva “Ecco, la guida dice di iniziare il tour proprio da qui”. Che tristezza. A Saigon sai che se vai verso Pham Ngu Lao, ci troverai tutti i backpackers con in mano la Lonely. A De Tham puoi acquistare per 4 dollari le solite guide fotocopiate di tutto il continente. Anche i viaggi finiscono per essere degli omogeneizzati, figli di quella parola che tanto temiamo ma che oramai ci entrata dentro e ci fa fare tutti le stesse cose. Sarebbe bello se ogni viaggiatore avesse a disposizione le riflessioni, i pensieri, le esperienze di altri viaggiatori, ma randomly, senza un riferimento. Magari basterebbe usare con coscienza lo strumento informazione. Consiglio che, naturalmente, vale anche - e soprattutto - nella vita.